La stretta fiscale sugli affitti brevi divide la maggioranza e spaventa i proprietari: con l’aumento dell’aliquota, i canoni rischiano di salire e le case di diminuire.
Per chi cerca una casa in affitto per brevi periodi, la nuova Legge di Bilancio 2026 rischia di trasformarsi in un serio problema. La bozza del testo, infatti, prevede un aumento della cedolare secca dal 21% al 26% per le locazioni brevi, cioè quelle inferiori ai 30 giorni. Una misura che, almeno nelle intenzioni del governo, punta a riequilibrare il mercato e a favorire i contratti lunghi, ma che secondo le associazioni di categoria finirà per colpire non solo i proprietari, ma anche gli affittuari.
Una retromarcia parziale del governo
Dopo le proteste interne alla maggioranza — con Forza Italia schierata apertamente contro l’aumento e il vicepremier Matteo Salvini che ha assicurato che “non ci sarà nessuna tassa sugli affitti brevi” — il governo ha in parte rivisto la misura.
Nella versione “bollinata” dalla Ragioneria dello Stato, l’aliquota resta al 21%, ma solo per i proprietari che affittano senza l’intermediazione di portali o agenzie. Chi invece si affida a piattaforme come Airbnb, Booking o Vrbo, vedrà la tassazione salire al 26%.

Un dettaglio che cambia molto nella pratica, perché secondo la stessa relazione tecnica della Ragioneria “il 90% degli immobili con cedolare secca continuerà ad avvalersi delle piattaforme online per semplificare le transazioni”. In altre parole, quasi tutti pagheranno l’aumento.
La misura, quindi, rischia di diventare una stangata fiscale a carico di oltre mezzo milione di famiglie italiane che mettono a reddito una seconda casa. Molti di loro non sono investitori, ma piccoli proprietari che affittano per integrare uno stipendio o per coprire le spese di un immobile ereditato.
Le proteste del settore: “È una patrimoniale mascherata”
Le reazioni non si sono fatte attendere. L’Aigab (Associazione Italiana Gestori Affitti Brevi), che rappresenta più di 800 operatori, definisce la misura «una patrimoniale mascherata». Secondo il presidente Marco Celani, l’aumento dell’aliquota “colpirà in modo indiscriminato famiglie e piccoli proprietari, non grandi investitori”.
L’associazione denuncia che la nuova norma avrà effetti pesanti anche sull’economia reale. Il comparto degli affitti brevimuove circa 8,2 miliardi di euro in canoni diretti e genera un indotto di 32,9 miliardi, con oltre 150 mila lavoratori coinvolti. Ridurre la redditività del settore potrebbe quindi significare meno case disponibili e canoni più alti.
Con un incremento di 5 punti percentuali, spiega Celani, “un proprietario che incassa 25 mila euro l’anno vedrà aumentare la tassa di circa 1.300 euro”. Una cifra importante, soprattutto considerando che il reddito da locazione breve è già gravato da numerosi costi: commissioni alle piattaforme, tassa di soggiorno, utenze, spese di pulizia e manutenzione. Tutti costi che non possono essere detratti.
Alla fine, a molti proprietari resterà in tasca poco o nulla, e la scelta più probabile sarà quella di ritirare gli immobili dal mercato. È già successo nel 2025, con un calo stimato di circa 40 mila abitazioni online rispetto all’anno precedente.
Meno case, canoni più alti e rischio evasione
L’effetto domino, secondo gli operatori, sarà immediato. Meno case disponibili significa aumento dei prezzi per chi cerca una stanza o un appartamento a breve termine, soprattutto in città universitarie e turistiche come Roma, Milano, Firenze o Napoli.
Gli studenti e i lavoratori temporanei rischiano di essere i più penalizzati, insieme alle famiglie che affittano per periodi di vacanza.
Ma il problema non si ferma qui. L’aumento della tassazione potrebbe spingere molti a tornare all’affitto in nero, vanificando i risultati ottenuti negli ultimi anni proprio grazie all’introduzione della cedolare secca. “Se si alza ancora la pressione fiscale — avverte Celani — molti preferiranno non dichiarare i redditi. È un salto indietro di dieci anni nella lotta all’evasione”.
In confronto, i contratti tradizionali rimangono più vantaggiosi: il canone libero 4+4 resta tassato al 21%, mentre il canone concordato è ancora al 10%. Una differenza che secondo gli esperti penalizza chi offre flessibilità abitativa, spingendo il mercato verso rigidità e minor mobilità.
Il rischio “case vuote” e il boomerang sul turismo
Il governo difende la misura come un passo necessario per riequilibrare il mercato e riportare sul lungo periodo le case oggi destinate ai turisti. Ma gli analisti avvertono che la stretta fiscale potrebbe trasformarsi in un boomerang.
In un Paese che conta già 9,6 milioni di abitazioni non utilizzate, disincentivare gli affitti brevi significa svuotare ulteriormente le città e danneggiare un indotto fatto di manutentori, imprese di pulizie, servizi di accoglienza e commercio locale.
Meno affitti brevi, inoltre, significano meno turismo diffuso e meno entrate per i comuni, che beneficiano della tassa di soggiorno. “Questa misura — conclude l’Aigab — rischia di colpire proprio chi ha reso regolare un’attività che prima era sommersa, punendo i cittadini onesti e lasciando spazio all’illegalità”.
La partita ora si sposta in Parlamento, dove la norma potrebbe subire nuovi ritocchi. Ma la direzione è chiara: la stagione degli affitti brevi facili sembra arrivata al capolinea, e chi cerca un appartamento per qualche settimana dovrà prepararsi a spendere di più per trovare di meno.